Salve a tutti, ho trovato una testimonianza molto bella che
fa riflettere su molti temi inerenti a bambini affetti dalla Sindrome di Down.
Questa è la storia di Caterina e dei suoi genitori che quando scoprirono di
aver dato alla luce una figlia Down rimasero sconvolti e non sapevano come
comportarsi perché pensavano che fosse una persona completamente diversa da
solo. Invece Caterina somigliava al papà e crescendo faceva tutte le cose che
facevano gli altri bambini. Caterina, ormai cresciuta, torna da scuola da sola,
sa leggere e scrivere bene e affronta le verifiche a scuola come tutti i suoi
coetanei. Da questa storia possiamo vedere come una bambina Down, con l'aiuto
della famiglia, di strutture adatte e di persone professioniste in grado di
aiutarla, possa avere una vita normale. Qui sotto ho messo la storia di
Caterina, vi auguro una buona lettura!
"La nascita di Caterina
tratto da: Istituto Italiano di Medicina
Sociale, 1993. E'nato un bambino Down. Guida per i genitori.
La mia prima figlia, Caterina, ha oggi 14 anni
ed ha la sindrome di Down. Ricordo ancora in maniera chiara le emozioni e i
sentimenti provati durante la gravidanza e dopo la nascita.
Io e mio marito decidemmo di avere un bambino
dopo circa un anno di matrimonio. Il periodo dell'attesa fu molto sereno, e,
come avviene di solito in gravidanza, avevo immaginato in maniera precisa come
sarebbe stato il bambino che stavo aspettando. Per esempio bello, intelligente,
buono e con i capelli rossi e gli occhi verdi come quelli di mio marito. Per
tutti i nove mesi non mi sfiorò mai l'idea che il bambino ,potesse avere dei
problemi.
Dovettero sottopormi al parto cesareo e,
quando mi svegliai dall'anestesia, cominciai subito a percepire
un'atmosfera strana intorno a me: senz'altro mio marito, i miei genitori e gli
altri parenti non avevano un atteggiamento adeguato al lieto evento. Parecchie
ore dopo il parto, dopo aver superato i primi dolori dopo il risveglio
dall'anestesia, chiesi di vedere la mia bambina. Appena mi fu messa la culletta
vicino al letto, allungai il collo per vederla e il sorriso che avevo sulle
labbra mi svanì a causa di un pensiero che mi folgorò: "E'
mongoloide". Non riuscii a dire niente, per paura forse di ricevere delle
conferme.
In seguito venni a sapere che il pediatra
della clinica aveva dato la notizia a mio marito dieci minuti dopo il parto,
dicendo però che non era certo della diagnosi e lo aveva consigliato di non
dirmi niente fino a quando non mi sarei ripresa dal cesareo.
Fu così che cominciammo la nostra vita di
genitori: io che temevo di fare domande e lui che cercava di proteggermi da una
cosa che avevo già capito.
Furono quindici giorni terribili, in certi
momenti mi sembrava che i miei sospetti fossero sbagliati, perchè mia figlia
somigliava a mio marito (io pensavo, invece, che le persone Down fossero tutte
uguali fra di loro) e in altri momenti, al contrario, mi sembrava che non ci
fossero dubbi: Caterina era proprio Down.
Finalmente feci delle domande precise a mio
marito e lui mi confermò che purtroppo anche i medici avevano fatto la stessa
diagnosi. Tuttavia avevano rinviato la certezza ad una analisi: quella relativa
alla mappa cromosomica, che avrebbe evidenziato se Caterina aveva normalmente
46 cromosomi o 47 come le persone Down. Finalmente riuscimmo a far fare il
prelievo alla bambina per l'analisi, e qui cominciammo ad avere delle
informazioni più corrette: non era vero che le persone Down erano uguali fra
loro, oltre alle caratteristiche dovute alla Sindrome, ne avevano altre
ereditate dai genitori. Non era vero che la certezza della diagnosi poteva
essere data solo dall'analisi, ma poteva essere raggiunta anche con una visita
clinica. Infatti il genetista che aveva effettuato il prelievo si disse certo
che Caterina avesse la sindrome di Down. Comunque aspettammo l'esito
dell'analisi e, in fondo, speravamo che ci fosse stato un errore. Invece
quando fummo convocati il responso fu inequivocabile: si trattava di sindrome
di Down. Il risultato così definitivo non lasciava più spazio a nessuna
speranza, però metteva fine a quell'altalena dolorosa di illusioni e di
sconforto.
La diagnosi ci fu comunicata da un professore
che ci dedicò molto tempo, rispondendo, come poteva, alle nostre infinite
domande. Egli sottolineò tutto quanto i bambini Down hanno di positivo pur
nella loro diversità e ci spinse, anche, ad incontrare altri genitori che
vivevano il nostro stesso problema. Questi furono i primi contatti col problema
di nostra figlia; ora piano piano dovevamo dimenticare tutte le aspettative
dell'attesa e imparare a conoscere questa bambina sconosciuta di cui, però,
sapevamo una cosa tremenda: aveva un deficit intellettivo.
Il primo anno di vita di mia figlia fu
ulteriormente complicato da una grave cardiopatia che non le permetteva di
crescere bene, di alimentarsi adeguatamente, di dormire serenamente, di
muoversi e di giocare. L'unica cosa che mi faceva sperare e credere in lei
erano i suoi occhi, sempre attenti, che seguivano tutto ciò che succedeva
intorno a lei. Dopo l'operazione, fatta ad un anno e due mesi, Caterina cambiò:
era una bambina Down ma fisicamente sana. Cominciò a crescere, a muoversi e a
fare tutte quelle cose che fino ad allora aveva seguito solo con gli occhi.
Anche il nostro rapporto cambiò, cominciai a proporle tutte le cose che avrei
proposto ad un altro bambino e lei cominciò a rispondere. Vedevo che
comprendeva le regole educative che di solito si insegnano a tutti i bambini, e
che era interessata a mangiare, a lavarsi, e spogliarsi da sola e vi
riusciva senza estreme difficoltà. Questi primi successi mi spinsero ad avere
un atteggiamento di fiducia nei riguardi di mia figlia che non mi ha più abbandonato.
Oggi è una ragazza molto autonoma e sicura di
sè. All'uscita dalla scuola torna a casa da sola, affrontando un percorso a
piedi di venti minuti. E' consapevole del suo stato e riesce a superare i
momenti di crisi, che a volte vive, con il nostro aiuto e la sua forza di
carattere, che è notevole. Ha imparato a leggere e scrivere bene, tanto che a
scuola, nelle materie letterarie ha seguito lo stesso programma degli altri,
anche se semplificato. Il grosso scoglio è la matematica ma ha risolto il problema
imparando da sola ad usare la calcolatrice.
E' una ragazza serena e capace. Sono convinta
che riuscirà, con il nostro aiuto, a trovare in futuro un'attività lavorativa
che le dia soddisfazione e, nello stesso tempo, le permetta di non essere un peso
per la società.
A.R.
Nessun commento:
Posta un commento