domenica 4 giugno 2017


Salve a tutti, ho trovato una testimonianza molto bella che fa riflettere su molti temi inerenti a bambini affetti dalla Sindrome di Down. Questa è la storia di Caterina e dei suoi genitori che quando scoprirono di aver dato alla luce una figlia Down rimasero sconvolti e non sapevano come comportarsi perché pensavano che fosse una persona completamente diversa da solo. Invece Caterina somigliava al papà e crescendo faceva tutte le cose che facevano gli altri bambini. Caterina, ormai cresciuta, torna da scuola da sola, sa leggere e scrivere bene e affronta le verifiche a scuola come tutti i suoi coetanei. Da questa storia possiamo vedere come una bambina Down, con l'aiuto della famiglia, di strutture adatte e di persone professioniste in grado di aiutarla, possa avere una vita normale. Qui sotto ho messo la storia di Caterina, vi auguro una buona lettura!

"La nascita di Caterina
tratto da: Istituto Italiano di Medicina Sociale, 1993. E'nato un bambino Down. Guida per i genitori.

La mia prima figlia, Caterina, ha oggi 14 anni ed ha la sindrome di Down. Ricordo ancora in maniera chiara le emozioni e i sentimenti provati durante la gravidanza e dopo la nascita.
Io e mio marito decidemmo di avere un bambino dopo circa un anno di matrimonio. Il periodo dell'attesa fu molto sereno, e, come avviene di solito in gravidanza, avevo immaginato in maniera precisa come sarebbe stato il bambino che stavo aspettando. Per esempio bello, intelligente, buono e con i capelli rossi e gli occhi verdi come quelli di mio marito. Per tutti i nove mesi non mi sfiorò mai l'idea che il bambino ,potesse avere dei problemi.
Dovettero sottopormi al parto cesareo e, quando mi svegliai dall'anestesia, cominciai  subito a percepire un'atmosfera strana intorno a me: senz'altro mio marito, i miei genitori e gli altri parenti non avevano un atteggiamento adeguato al lieto evento. Parecchie ore dopo il parto, dopo aver superato i primi dolori dopo il risveglio dall'anestesia, chiesi di vedere la mia bambina. Appena mi fu messa la culletta vicino al letto, allungai il collo per vederla e il sorriso che avevo sulle labbra mi svanì a causa di un pensiero che mi folgorò: "E' mongoloide". Non riuscii a dire niente, per paura forse di ricevere delle conferme.
In seguito venni a sapere che il pediatra della clinica aveva dato la notizia a mio marito dieci minuti dopo il parto, dicendo però che non era certo della diagnosi e lo aveva consigliato di non dirmi niente fino a quando non mi sarei ripresa dal cesareo.
Fu così che cominciammo la nostra vita di genitori: io che temevo di fare domande e lui che cercava di proteggermi da una cosa che avevo già capito.
Furono quindici giorni terribili, in certi momenti mi sembrava che i miei sospetti fossero sbagliati, perchè mia figlia somigliava a mio marito (io pensavo, invece, che le persone Down fossero tutte uguali fra di loro) e in altri momenti, al contrario, mi sembrava che non ci fossero dubbi: Caterina era proprio Down.
Finalmente feci delle domande precise a mio marito e lui mi confermò che purtroppo anche i medici avevano fatto la stessa diagnosi. Tuttavia avevano rinviato la certezza ad una analisi: quella relativa alla mappa cromosomica, che avrebbe evidenziato se Caterina aveva normalmente 46 cromosomi o 47 come le persone Down. Finalmente riuscimmo a far fare il prelievo alla bambina per l'analisi, e qui cominciammo ad avere delle informazioni più corrette: non era vero che le persone Down erano uguali fra loro, oltre alle caratteristiche dovute alla Sindrome, ne avevano altre ereditate dai genitori. Non era vero che la certezza della diagnosi poteva essere data solo dall'analisi, ma poteva essere raggiunta anche con una visita clinica. Infatti il genetista che aveva effettuato il prelievo si disse certo che Caterina avesse la sindrome di Down. Comunque aspettammo l'esito  dell'analisi e, in fondo, speravamo che ci fosse stato un errore. Invece quando fummo convocati il responso fu inequivocabile: si trattava di sindrome di Down. Il risultato così definitivo non lasciava più spazio a nessuna speranza, però metteva fine a quell'altalena dolorosa di illusioni e di sconforto.
La diagnosi ci fu comunicata da un professore che ci dedicò molto tempo, rispondendo, come poteva, alle nostre infinite domande. Egli sottolineò tutto quanto i bambini Down hanno di positivo pur nella loro diversità e ci spinse, anche, ad incontrare altri genitori che vivevano il nostro stesso problema. Questi furono i primi contatti col problema di nostra figlia; ora piano piano dovevamo dimenticare tutte le aspettative dell'attesa e imparare a conoscere questa bambina sconosciuta di cui, però, sapevamo una cosa tremenda: aveva un deficit intellettivo.
Il primo anno di vita di mia figlia fu ulteriormente complicato da una grave cardiopatia che non le permetteva di crescere bene, di alimentarsi adeguatamente, di dormire serenamente, di muoversi e di giocare. L'unica cosa che mi faceva sperare e credere in lei erano i suoi occhi, sempre attenti, che seguivano tutto ciò che succedeva intorno a lei. Dopo l'operazione, fatta ad un anno e due mesi, Caterina cambiò: era una bambina Down ma fisicamente sana. Cominciò a crescere, a muoversi e a fare tutte quelle cose che fino ad allora aveva seguito solo con gli occhi. Anche il nostro rapporto cambiò, cominciai a proporle tutte le cose che avrei proposto ad un altro bambino e lei cominciò a rispondere. Vedevo che comprendeva le regole educative che di solito si insegnano a tutti i bambini, e che era interessata a mangiare, a lavarsi, e  spogliarsi da sola e vi riusciva senza estreme difficoltà. Questi primi successi mi spinsero ad avere un atteggiamento di fiducia nei riguardi di mia figlia che non mi ha più abbandonato.
Oggi è una ragazza molto autonoma e sicura di sè. All'uscita dalla scuola torna a casa da sola, affrontando un percorso a piedi di venti minuti. E' consapevole del suo stato e riesce a superare i momenti di crisi, che a volte vive, con il nostro aiuto e la sua forza di carattere, che è notevole. Ha imparato a leggere e scrivere bene, tanto che a scuola, nelle materie letterarie ha seguito lo stesso programma degli altri, anche se semplificato. Il grosso scoglio è la matematica ma ha risolto il problema imparando da sola ad usare la calcolatrice.
E' una ragazza serena e capace. Sono convinta che riuscirà, con il nostro aiuto, a trovare in futuro un'attività lavorativa che le dia soddisfazione e, nello stesso tempo, le permetta di non essere un peso per la società.
A.R.

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